Una vita fa.
Anche questa sera vado a letto con un senso di impotenza, amareggiata, sconsolata e non riesco a capire…..proprio non capisco com’è possibile essere ancora qua, ancora nel 2019 a ripetere le stesse cose, essere ancora nel pantano di “noi” e “loro”, di disuguaglianze, di intolleranza, di violenza sulle donne, di disoccupazione, di povertà. Che fine hanno fatto i nostri anni, mi chiedo, quelli venuti dopo il ’68 , quelli del “movimento”, quelli cantati, urlati nelle piazze con la voglia di esserci per costruire insieme un futuro migliore. Tutto il nostro ragionare, la nostra energia a che è servita se siamo ancora qua, ancora con questo immenso bisogno di libertà e giustizia.
Ormai quelli sono anni dimenticati, catalogati come gli anni di piombo, archiviati come gli anni degli opposti estremismi, ma per me no, per me sono stati un’altra cosa.
Ho tutte le mie agende sistemate nella libreria, ci metto un secondo, mi alzo, vado a prenderle e leggo “anno scolastico 1976/77” è una vita fa……non ho più sonno l’impotenza ha lasciato spazio alla tenerezza per quella ragazzina diciassettenne che si credeva già donna.
1° Ottobre ’76
“Primo giorno di scuola, già i primi casini vogliono smembrare quattro classi. 6 ottobre assemblea generale d’istituto.”
L’anno scolastico era appena iniziato e già mi ritrovavo con amici e compagni immersa in riunioni, discussioni, gruppi di studio e ore di lezioni nei corridoi per sostenere la lotta contro lo smembramento di alcune classi. Ma a fine mese dopo un’assemblea con professori e genitori fummo costretti a prendere atto che le buone ragioni non bastano, che il credersi nel giusto non porta automaticamente ad avere giustizia.
26 Ottobre ‘76
“Con la tristezza nel cuore, con la rabbia nel corpo, noi compagni in silenzio ci siamo dati la mano sapendo di avere ragione, guardando la gente che stava bruciando le nostre speranze.”
E speranze , sogni, illusioni ne avevo un sacco, come avevo un sacco di amici, quelli della scuola con cui frequentavo il centro Puecher (un complesso di tre istituti superiori, auditotium, palestre, mensa) proprio dietro casa mia, quelli del cortile che come me abitavano nelle case di dipendenti di banca e quelli del quartiere che vivevano nelle case popolari delle vie vicine e conosciuti qualche anno prima durante una recita all’oratorio. Già, perchè nel nostro quartiere, lo Stadera, l’oratorio della Chiesa Rossa era l’unico spazio vitale per i ragazzini che ci andavano a giocare a pallone e per noi fanciulle a cui era concesso solo il cinema della domenica pomeriggio.
3 Novembre ‘76
“Oggi ai giardinetti con la solita gente”
Ormai ero troppo grande per restare in cortile e mi vedevo con gli amici ai giardini di Via Barrili. “Ci vediamo ai giardini” tutti li chiamavamo così ma ci mettevamo del nostro perchè definirli giardini era un’esagerazione. C’era qualche albero che si ostinava a vivere nel mezzo del niente, qualche vecchia panchina malandata e come nella tradizione milanese, il drago verde (la fontanella) che pisciava acqua calda d’estate e regalava gocce ghiacciate d’inverno. Mi piaceva andarci, mi sembrava di vivere per qualcosa stando là, mi sembrava di essere parte del mondo assieme agli altri, mi incuriosivano i “grandi” che raccontavano e parlavano di amicizia, di politica, di musica, di rabbia, d’amore ,di futuro.
A volte andavo con loro in Via Palmieri in un locale dove si riunivano ragazzi della zona e non solo, che avevano una gran voglia di farsi sentire, di lottare per una vita migliore e di non farsi scivolare addosso le cose, come si diceva allora.
6 Dicembre ‘76
“ore 17 in Palmieri,6 – al circolo Stadera si è deciso l’occupazione per domani dei negozi vuoti di Via Momigliano”
Si parlava da un po’ di trovare uno spazio in quartiere d’aprire a tutti a qualsiasi ora o quasi, un posto che fosse “casa” dove portare idee e musica, dove studiare, leggere, discutere, organizzare feste o manifestazioni, insomma un angolo di mondo per stare insieme, raccontarci e conoscerci. Una magnifica idea che diventò realtà da quando alzammo la saracinesca di quei negozi sfitti. Per me e gli amici dei giardini da subito i negozi di via Momigliano diventarono punto di riferimento ma pure per i ragazzi del circolo Stadera e gli studenti, i disoccupati, i giovani della zona. Avevamo dato vita al Collettivo giovanile Stadera che sarebbe diventato uno dei collettivi più attivi di Milano.
30 gennaio ‘77
“Ai negozi ieri alcuni stronzi hanno fatto delle scritte tipo: -chi dice donna dice danno – Viva la figa- noi donne abbiamo risposto con un cartello e sabato prossimo faremo una riunione”
Già perché il collettivo non era un’unica anima, cosa era… difficile dire. Io come tanti altri facevo politica, pensavo valesse la pena di lottare per la democrazia, la libertà, la giustizia, non volevo stare a guardare, volevo partecipare, volevo fare qualcosa per costruire un mondo migliore di quello che vedevo. C’era chi aveva uno spirito più hippie e aggregava con canti e balli, chi semplicemente non sapeva dove andare ,chi frequentava il collettivo solo per rimorchiare. Noi ragazze avevamo formato un collettivo donne, volevamo all’interno di Stadera uno spazio per noi. Erano i tempi del “personale è politico” e finalmente potevamo raccontarci solo fra donne parlando di tutto: di maschilismo, di sessualità, di solidarietà, di paure, di ruoli pesanti come macigni, di compagni e padri che diventavano padroni. Potevo essere sincera fino all’osso pronta alle critiche e alle prese in giro perché la nostra amicizia era li a sostenermi. Ero femminista non ho mai smesso di esserlo e furono tante, ma mai abbastanza le parole spese per riuscire ad essere considerata prima di tutto una persona.
13 febbraio ‘77
“Nel pomeriggio hanno occupato dei negozi in Via Cermenate per avere una sede nuova del collettivo, ma ne io ne Franco ci siamo andati.”
Quel pomeriggio ero rimasta con Franco, era il mio ragazzo, uno di quelli conosciuti alla recita dell’oratorio, uno dei giardini, quello che alle manifestazioni mi teneva per mano e camminava con me. Il ragazzo che sarebbe diventato il compagno di una vita, allora non lo sapevo, volevo solo essere felice con chi condivideva le mie idee e mi amava per quello che ero.
“Ed è per questo che ti amo, perchè sei con me in questa guerra di sempre per imparare a vivere”
E spero che non si svegli, ora che dorme al mio fianco, come glielo spiego che sono qui a leggere cose di 40 anni fa!!!
26 febbraio ’77 -Carnevale
“Per il quartiere a fare una sfilata, le donne in cordone dietro a quelli vestiti da operai, con i ruoli classici della donna, dietro a noi gli indiani metropolitani. Io mi sono vestita da maestrina. Dopo sono uscita a mangiare la pizza insieme alla gente del collettivo”
Questo era, noi vivevamo ogni cosa assieme. L’impegno politico era solo una parte della vita al Collettivo, le tante riunioni e i compiti da portare avanti come il volantinaggio per farci conoscere in quartiere, il giornale che avevamo deciso di fare o la radio che bisognava impiantare non toglievano tempo al nostro essere ragazzi qualunque. Io andavo a Stadera perché a Stadera c’erano i miei amici e volevo stare con loro. Uscita di casa non sapevo chi avrei incontrato al collettivo ma ero certa di trovare, l’affetto, le risate, le urla, le scritte sui muri da leggere, le chiacchiere, la musica, la rabbia e magari anche i pianti, ma era tutto quello che volevo.
A volte stavo ore a parlare con qualcuno che non sapevo neppure come si chiamava.
Andavo alle manifestazioni con la stessa spensieratezza di quando si partiva insieme per la montagna o si andava la domenica nei prati. Eravamo sempre in tanti, non saprei dire quanti ma sempre con le chitarre che ogni occasione era buona per fare musica e improvvisare cori, non mancavano neppure le macchine fotografiche, gli scatti in bianco e nero di allora testimoniano quanto artisti eravamo.
14 Marzo ‘77
“Ho visto Gimmy Tallo Fiò e gli altri che sono stati a Roma in manifestazione”
A quei tempi le manifestazioni erano all’ordine del giorno, io partecipavo a quelle di Milano, non avrei mai avuto il permesso da mio padre per andare a Roma o Bologna, già era un successo poter fare un giorno in montagna! Ma chi poteva ci andava insieme e al ritorno raccontava, era un po’ come esserci stati.
27 Marzo ‘77
“Insieme al Collettivo al prato della cartiera. Mi sono rotta le balle, c’è della gente che non mi va affatto”
Non era semplice, si era tutti diversi per educazione, per formazione, per cultura e ognuno portava se stesso per quello che era ,ognuno con le proprie idee. Libertà quasi assoluta, che poi significava scazzi, litigate, dibattiti infiniti. Bisognava confrontarci, sostenere, capire, spiegare, ascoltare, e magari giungere ad una conclusione che poteva essere rimessa in discussione da chi non aveva partecipato al confronto e quindi ricominciare a spiegare, a dire, a capire….a volte veramente, per me, molto faticoso. Non condividevo certi atteggiamenti e certe parole usate, ma la vita era collettiva, prendere o lasciare.
11 Giugno ‘77
“Alla festa popolare. Oggi abbiamo iniziato a fare il murales col carboncino e abbiamo preso le misure e anch’io ho aiutato”
Avevamo organizzato alle Cascine Rosse una festa lunga due giorni, sabato e domenica. Deciso fra le altre cose di fare un murales che testimoniasse la nostra presenza in quartiere. Quanta gente partecipò! Io non mi rendevo conto ma veramente la nostra energia, il nostro entusiasmo stavano lì a dimostrare che non eravamo i violenti, i facinorosi, i prepotenti da isolare ma solo i ribelli, rivoluzionari sognatori che volevano portare allegria, gioia, dissenso dentro un mondo grigio fatto solo di doveri e sacrifici. Respiravo l’amicizia, l’amore, la forza di quegli anni .
Scuola finita e con lei la mia agenda.
Anno scolastico ’77-’78 in copertina una mia foto, quasi non mi riconosco, che meraviglia avere 18 anni!!
6 Ottobre ’77
“Collettivo donne Stadera alle 5 – Mercoledì 13. film in auditorium – sabato 16. banchetto al mercato – sabato 22. assemblea Auditorium. Fare 5000 volantini da distribuire.”
Il mio impegno non si era fermato, credevo sinceramente che tante cose si potessero cambiare, che la nostra forza stesse nel coinvolgere, parlare, spiegare la tanta rabbia che ci portavamo dentro, il perché di tante recriminazioni.
La mia vita non mi sembrava facile, non mi sembrava giusta, più crescevo e più mi sentivo fuori posto i confronti e gli scontri erano infiniti. C’erano mille cose che non sopportavo; la scuola così ammuffita, così staccata dalla realtà che vivevo quotidianamente, la mia casa che si era rimpicciolita in una stanza lasciandomi “prigioniera” delle decisioni dei miei, e anche il collettivo iniziava a starmi stretto.
28 Ottobre ‘77
“Ho urlato perché non potevo stare in silenzio, ho urlato per non tenermi tutto dentro, ho urlato e ora mi spiace mi sento quasi in colpa e forse colpe non ne ho.”
Avevo urlato al collettivo donne, ero stufa di sentire sempre le stesse cose, mi sembrava di non concludere un granché e avrei voluto fare molto di più. Non era solo questo, a volte mi prendeva la malinconia e tutto diventava grigio, c’erano giorni in cui niente era giusto.Tempi in cui mi sentivo triste e sola incompresa da tutti , giorni dove avrei voluto essere mille miglia lontana nel mondo. Poi c’erano i giorni di festa
10 Dicembre ‘77
“Festa di movimento – Movimento in festa – in auditorium”
Il volantino era fenomenale, tra di noi la creatività, la fantasia, l’estro, l’ironia, la genialità certo non mancavano, i muri del collettivo trasformati in un murales in continua evoluzione e i cartelloni con cui comunicavamo, stavano li a dimostrarlo.
2 Gennaio ‘78
“Quest’anno il capodanno l’ho fatto a Breguzzo, in montagna con i compagni del collettivo Stadera. Troppa gente.”
Non mi ero divertita, eravamo in 23 in due stanze a ripensarci una follia, ma c’ era Franco e non avrei voluto essere altrove. Era così, si buttava un’idea e chi voleva partecipava l’organizzazione era semplice ,chi metteva la macchina, chi dava disponibilità per i contatti, chi solamente c’era. Non ci sceglievamo si viveva insieme, in qualsiasi momento chiunque si poteva aggiungere o allontanare.
22 Marzo ‘78
“Ai funerali di Fausto e Iaio. Poteva capitare a chiunque di noi, rabbia e dolore oggi camminavano mano nella mano.”
Il 16 marzo le BR avevano rapito Moro e pur essendo solo una ragazzina anch’io avevo capito che da li in poi non sarebbe più stata la stessa cosa, perché era chiaro che ora si sarebbe parlato solo della ferocia delle BR ,della necessità di reprimere sul nascere
qualsiasi contestazione criminalizzando tutti i movimenti.
Il 18 marzo furono assassinati dai fascisti due ragazzi del Centro sociale Leoncavallo “Così
si muore a 17 anni nello stato democratico” dice il ritaglio di giornale incollato sull’agenda. Ero come tutti incredula spaventata, arrabbiata, veramente poteva toccare a chiunque di noi.La manifestazione spontanea che subito dopo l’omicidio si formò fu immensa, ma la folla al funerale non si poteva contare. Non solo i ragazzi, le mamme, gli operai, la gente comune, gli abitanti del quartiere Casoretto, in tantissimi eravamo li a piangere e a urlare.
22 Maggio ‘78
“Ore 21 a Stadera riunione sulla cooperativa.”
Spesso il Collettivo utilizzava le strutture del centro Puecher per i concerti o altre iniziative, ci conoscevano in tanti e facevamo muovere un sacco di gente così qualcuno della Provincia era venuto a cercarci perché voleva la nostra collaborazione, volevano aprirsi ai giovani, ci avevano detto.
10 giugno ‘78
“Intervento sulla Provincia”
Tutti partecipammo al dibattito se accettare o meno la proposta della Provincia, io non ero d’accordo, non mi sembrava una buona idea entrare nel mondo” istituzionale”, avremmo fatto parte di qualcosa che non ci apparteneva, non nostro, il collettivo era nato senza legami e così per me doveva rimanere.Noi eravamo i ragazzi del quartiere con uno spazio aperto a tutti che avevamo difeso anche da chi aveva tentato di introdurre logiche di violenza o di accostarci a partiti o partitini. Ma molti la pensavano diversamente.
A giugno vado via a studiare, ho la maturità, nell’ultima pagina dell’ agenda c’e un foglietto.
5 settembre ‘78
” La scuola è finalmente finita ora voglio imparare ad essere felice perché la vita è bella ed è appena iniziata ed io ho ancora molte cose da fare.”
Nonostante Stadera continuasse ad esistere io cominciai ad andarci sempre meno, avevo perso l’entusiasmo, molte attività furono portate avanti dai compagni che vollero seguire l’invito della Provincia, io a poco a poco con gli amici di sempre ritornai a sedermi sulle vecchie e malandate panchine dei giardini. Da lì guardavo il mondo con occhi diversi, l’esperienza del collettivo non era finita solo trasformata, tutto quello che avevo imparato e visto, tutti quelli che avevo conosciuto e frequentato, anche quello che non avevo compreso o accettato non l’avrei mai più potuto ignorare. Avevo incontrato sogni e utopie di chi come me credeva e voleva cambiare il mondo intero anche con la leggerezza e la meraviglia che solo i ragazzi possono avere.
Spengo la luce, “Buona notte” sussurro al mio compagno, “buona notte Esterina” mi dico, chiudo gli occhi e sorrido, felice di aver vissuto gli anni di Stadera, anni splendidi e indimenticabili.