Ho pensato di iniziare così, anche se la prendo un po da lontano…..
Tutto è cominciato il pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, io avevo 14 anni.
Come tanti pomeriggi invernali eravamo a casa di Sonia, un po’ per studiare, ascoltare i 45 giri e bere la cioccolata a merenda che ci preparava sua mamma.
Sonia aveva una stanza tutta sua e per noi era un privilegio avere un luogo sicuro dove rintanarci per vivere le prime esperienza da “grandi”.
Verso le 16.30 sentiamo in lontananza un boato, quasi un tonfo sordo.
Prima di portarci la cioccolata, sua mamma esce sul balcone forse per capire cosa potesse essere succeso, ma poi rientra senza dire nulla. E’ un po inquieta, ma ci serve comunque la cioccolata.
Dopo un quarto d’ora riceve una telefonata da suo marito che lavora in via Larga e le dice che farà tardi a rientrare, perchè è scoppiata una caldaia in piazza Fontana ed è tutto bloccato per consentire i soccorsi……
Poi sappiamo come è andata a finire e per molti di noi, quel giorno, è stato l’inizio di una storia che è durata una quindicina di anni di “militanza” molto attiva e seppur con modi e sensibilità diverse per fortuna non è ancora finita.
Nel ’69 ero in prima liceo e cominciavo a toccare con mano quello che era stato il 68.
Occupazioni della scuola, manifestazioni, autogestioni, cose nuove che cominciavano ad intrigarmi, fosse solo per risparmiarmi qualche interrogazione o compito in classe a cui non ero regolarmente preparato.
Ma è col 1970 che comincia la vera svolta: le manifestazioni per chiedere la verità su piazza Fontana, la prima occupazione del Leonardo a dicembre a cui partecipo attivamente. In via Corridoni si raggruppano i fascisti guidati dall’avvocato Degli Occhi per tentare con la forza di entrare a scuola.
Io, pischello vengo dirottato fra gli addetti agli estintori a muro e quando il gruppetto con tricolore e saluti romani inizia a salire le scale, arriva un grido “aprite i rubinetti”. In un attimo coloro che maneggiavano le pompe scaricano una valanga d’acqua sul gruppo che tentava l’assalto. Completamente bagnati e in fuga nel freddo di dicembre, subirono una lezione che non credo abbiano mai dimenticato.
Anche se mi piaceva, ero indeciso se scegliere completamente la via della politica o dedicare ancora del tempo al calcio, la mia vera passione fino allora. La foto di Gigi Riva sopra il letto ha sostituito da tempo l’immagine della Madonna.
A ottobre feci un provino per la Juventus e uno per il Como a cui ero stato segnalato da alcuni osservatori ed a febbraio ’72 ci fu quello mai dimenticato con il Milan. Partita contro la squadra primavera che era appena tornata sconfitta in finale dal torneo di Viareggio. Io piccoletto ma senza soggezione segno due gol e il mister Galbiati mi ferma a fine partita e mi dice che dalla prossima settimana mi alleno con loro.
Inizio di una sfolgorante carriera calcistica? Tuttaltro perchè capisco che non è il mio ambiente, che li dentro ognuno fa per se e così dopo quattro mesi chiudo l’esperienza e scelgo la politica, con me c’è sempre Fio.
In quartiere si sta formando la cellula di Lotta continua, ci sono i grandi del servizio d’ordine della sezione Romana con i racconti degli scontri del 11 marzo, il passo è fatto.
Apriamo la cellula di L.C. con sede in via Bellarmino, camuffata da negozio di fotografia. Peccato che le riunioni nello scantinato venivano ascoltate di nascosto dall’amministratore dello stabile con i rappresentanti degli inquilini che dopo qualche mese ci convocano e ci mandano lo sfratto. Siamo attivi in quartiere con le prime autoriduzioni delle bollette di luce e gas che facciamo fare agli anziani delle case di via Palmieri e Barrili che con la poca pensione non arrivano a fine mese.
Un giorno ci chiamano per dirci che una vecchietta tornata da tre mesi di ospedale ha trovato la casa occupata da un malavitoso del quartiere. Ci “attrezziamo” ed andiamo sul luogo, ho un po’ paura, ma insieme facciamo coraggio e alla resistenza del tipo, abbattiamo la porta. Non la prende bene ma di fronte ad un gruppo di una ventina abbandona la casa.
Il giorno dopo in un bar all’angolo con via Agilulfo c’è un “chiarmento” fra noi e i suoi amici. Ci presentiamo in una cinquantina del SO, circondiamo il bar, altri entrano, quindi i ceffi abbassano subito la cresta e dicono che c’era stato un malinteso e che non avrebbero più occupato in zona.
La notizia gira e ci sentiamo dei grandi.
Con Ummagumma, Atom Heart mother, Dark side of the moon, Radici, 4 way street, Dejavu, Aqualung, Harvest e Thick as a brick, Freewheelin’, decido di cominciare la collezione di dischi che in 15 anni arriverà a 2.000 lp.
ll 7 maggio muore Franco Serrantini un ragazzo di 19 anni dopo un pestaggio subito nella questura di Pisa a seguito della manifestazione contro il comizio del picchiatore missino Niccolai. Mi sembra di aver perso un fratello.
Sempre a maggio viene assassinato il commissario Calabresi ed a Peteano un’auto carica di tritolo salta ed uccide tre carabinieri chiamati sul posto da una telefonata anonima, provocatoriamente si cerca la pista rossa ma si scioprirà che sono stati i fascisti.
Tra riunioni, manifestazioni, iniziative, raccolta fondi sentiamo di poter essere utili.
La sera del 30 gennaio 73 arriva la notizia che un compagno del Movimento studentesco, Roberto Franceschi, è stato ucciso dalla polizia davanti la Bocconi. Giro di telefonate ritrovo verso le 20 e con la squadra del servizio d’ordine andiamo verso l’Università. Freddo cane, nessuno in giro, tranne qualche poliziotto in borghese che si finge compagno per chiederci chi siamo e cosa vogliamo fare. Nessuno la beve e lo cacciamo in malo modo.
Ogni sabato c’è una manifastazione, a volte con l’aggiunta di quelle durante la settimana, sembra quasi un lavoro!
Poi l’11 settembre del 73 c’è il golpe in Cile.
Il giorno dopo ci prepariamo alla manifestazione a Porta Venezia, bandiere, manici di piccone, anche qualcos’altro, saliamo in una cinquantina sulla S per andare al corteo. via Larga, corso Europa e siamo quasi in san Babila.
Parlottiamo con l’autista che fa una fermata fuori programma, scendiamo incazzati, in pochi minuti il bar gin rosa, noto ritrovo dei fascisti milanesi non esiste più….riprendiamo la S che nel frattempo ci aveva aspettato e andiamo al corteo.
Anche in Italia si comincia a parlare di forze neofasciste che con appoggi in apparati dello Stato stanno organizzandosi per tentare un golpe o preparare attentati.
Il 17 maggio 73 strage davanti alla questura di Milano, 28 maggio 74 piazza della Loggia a Brescia bomba contro la manifestazione antifascista, (io da una decina di giorni sono uscito da San Vittore così i miei uscendo per andare al lavoro mi chiudono in casa e si portano via le chiavi per evitare che finisca in qualche casino). 4 agosto 74 Strage sul treno Italicus.
Con le decine di aggressioni a giovani di sinistra e di destra, la nascita delle BR, poi di PL e dei gruppi legati all’area dell’Autonomia Operaia, il rafforzamento dei gruppi neofascisti spesso clandestini, c’è una tensione fortissima e noi cosa possiamo fare?
Il dibattito è ad altissima tensione anche fra noi.
Il 12 maggio ci sarà il referendum sul divorzio, organizziamo volantinaggi, piccoli comizi, affiggiamo manifesti, facciamo un sacco di propaganda. I fascisti in quartiere non la prendono bene e cominciano una serie di provocazioni, qualche tentativo di aggressione, scritte e altro.
Non che noi fossimo dei santi, quindi ci prepariamo a rispondere.
La sera del 4 maggio ci troviamo come solito davanti al bar Alberti, verso le 21.30. 5 o 6 vespini ci passano davanti urlando W il duce, morte ai compagni e cazzate simili. Ripassano dopo una decina di minuti, si fermano facendo il saluto romano e ripartono. In 10 secondi saliamo su 4 macchine e li raggiungiamo in via Fedro all’angolo con via Tibaldi. Parte una scazzottata neanche troppo violenta, infatti risaliti sui vespini, almeno quelli che ancora vanno e un po acciaccati se la svignano.
Noi tranquilli torniamo al Bar e andiamo al cinema.
La mattina del 5 ci ritroviamo dall’Alberti, che terrorizzato ci dice che un gruppo di picchiatori fascisti è andato nel suo bar minacciandolo di “chiusura” se ci avesse permesso di ritrovarci da lui. Giro di telefonate fra il SO e ritrovo comunque davanti al Bar alle 14.30. Siamo li, vigili, come si diceva allora; ripassano alcuni vespini con i fascistelli incappucciati che riprendono la solfa dei saluti romani. Si fermano a poche decine di metri da noi ci insultano e gridano slogan.
Ci guardiamo e al grido “Duri compagni” partiamo alla carica. Nenche il tempo di essere a metà via Pezzotti ci piombano addosso una decina di auto della polizia. Che si fossero messi d’accordo???
Fuggi fuggi generale ma io e altri 4 veniamo blindati. Ci portano in Questura e ci interrogano, passano un paio d’ore e ci dicono se vogliamo avvisare a casa perchè ci mandano a San Vittore. Telefono a mia zia perchè i miei sono andati a Selvino, lei che guarda sempre Perry Mason mi dice di chiedere quanto vogliono di cauzione che preleva e passa a prendermi, le spiego che non funziona proprio così. Non capisco ancora se è tutto vero o uno scherzo, ma quando in cortile ci ammanettano a due a due e saliamo su un cellulare capisco.
Alle 19.30 sono a San Vittore preliminari vari e quindi in cella di isolamento nei sotterranei del quinto raggio.
Ho paura, in cella da solo, luce fissa, una panca con sopra un materasso, un catino dove fare i bisogno, un paio di coperte, finchè altri “ospiti”, molto più abituati all’isolamento carcerario, capito chi siamo, ci adottano e ci spiegano come sopravvivere in totale isolamento, fornendoci persino del cibo e tenendoci su di morale.
Passano quattro giorni, il nostro avvocato ottiene un nuovo interrogatorio con il giudice che seguirà la situazione.
Il giorno dopo riesce a farci parlare con i nostri parenti.
Ci dicono che in quartiere ci sono iniziative continue per chiedere la nostra scarcerazione, mi sento particolarmente importante, anche perchè una volta uscito avrò un’esperienza mica da ridere da poter raccontare!!!
Il giudice grazie al quale siamo sarcerarti la mattina dell’11 maggio era Emilio Alessandrini che verrà barbaramente assassinato da un commando di Prima Linea il 29 gennaio 1979…….non lo scorderò mai.
Nel ’75 partecipo al Festival di Re Nudo al Parco Lambro, ma la mia anima militante, o forse la paura di cofrontami con la parte meno politica del movimento, non mi fa star bene in mezzo a questa parodia di Woodstock.
A luglio c’è la maturità, esco bene con 56/60 perchè la prova di italiano scritta con un pippone sulla voglia di cambiare il mondo dev’essere piaciuta alla commissione, tutti comunisti questi professorii!!!!!
Mi iscrivo a lettere, faccio un paio di esami, mi innamoro platonicamente di una compagna di corso, che riesco ad accompagnare a casa una sera dopo una lezione e per fingermi quasi disinteressato a lei, non faccio che parlarle di compagni che sbagliano rivoluzioni più o meno fallite e minchiate varie.
Perchè mai dovrei stare con un rompicoglioni così avrà pensato.
A chiudere definitivamente una pagina della storia di quegli anni sono due momenti avvenuti fra il 75 e il 76.
Il canto del cigno del movimento della sinistra extraparlamentare sarà nelle giornate fra il 16 e il 18 aprile 75.
E’ sera e arriva la notizia che in piazza Cavour un fascista ha sparato ed ucciso Claudio Varalli.
C’è una rabbia incontenibile migliaia di giovani si dirigono sul luogo dell’omicidio e noi siamo li, si fanno riunioni per organizzare una grande manifestazione, quando qualcuno arriva con una bozza del titolo del giornale di Montanelli: spontaneamente, checchè se ne disse, a centinaia si andò nella sede de il Giornale che fu semi distrutta.
La mattina dopo da tutta Milano partono cortei che devastano sedi, locali e luoghi ritrovo dei fascisti milanesi. Il nostro gruppo di L.C. parte dal Feltrinelli e raggiunge la testa del corteo che si dirige in corso XXII Marzo per tentare di assaltare la sede di via Mancini.
Ci sono scontri pesanti, ma il presidio delle forze dell’ordine ci respinge, quindi dopo un paio d’ore di occhi arrossati dai lacrimogeni e dal fumo delle auto e dei blindati incendiati dalle molotov, senza riuscire a raggiungere il Bunker, ce ne andiamo.
Poco dopo arriva lo spezzone del MLS che viene attaccato da una colonna mobile dei CC e un camion investe e uccide Giannino Zibecchi. In quei giorni giravamo scuole e centri sociali di Milano e provincia, con un passaggio persino in un liceo di Como, con uno spettacolo di canzoni di lotta. Non ci crederete ma io cantavo come solista La ballata di Serantini e La ballata di Saltarelli e ancora adesso sorridendo le canticchio da solo.
Dovunque si andasse venivamo accolti come “eroi”, noi di Milano che avevamo partecipato agli scontri.
Ricordo che ne andavamo fieri ma eravamo anche un po sboroni, tra l’altro serviva per fare colpo sulle compagne, Fio in testa.
Convenienze a parte ci sentivamo come i Partigiani.
Ai primi di novembre a Rimini con un lungo e sofferto Congresso si scioglie Lotta Continua.
E’ un gran casino perchè una parte fonda in Prima Linea con i danni che ne seguiranno, altri piccole formazioni dell’Autonomia Operaia, alcuni vanno in campagna a meditare e a farsi canne, altri scelgono la carriera arruolati dai vecchi nemici.
Per me ed altri comincia la nuova avventura nei collettivi giovanili.
I primi mesi del ’76 sono strani, non capisco cosa e come fare per incidere e continuare nel tentativo nobile, ma un po’ presuntuoso di cambiare la società e il mondo, visto che le esperienze precedenti non erano finite molto bene. Ho un po’ di paura perchè chi ci guidava, spesso ha fatto altre scelte, noi siamo un po’ allo sbando, cominciamo a guardarci in giro per capire cosa fare. In uno scantinato di via Palmieri si trovano alcuni giovani del quartiere, con Fio decidiamo di partecipare a qualche riunione.
Abituati all’enfasi delle riunioni politiche ci sentiamo un pò pesci fuor d’acqua, o peggio superiori a quei ragazzi un po più giovani che non parlano solo di rivoluzione, movimenti di liberazione o fascisti, ma anche dei problemi del quartiere e dei loro problemi personali. Dopo anni di politica fra e per i maschietti, “scopro” che ci sono anche le donne con i loro problemi, le loro sensibilità.
Era forse giunta l’ora di conoscere l’altro universo, magari avere una fidanzata e tradire la Rivoluzione? Che fatica mettersi in discussione quando si sono appena raggiunti i “gradi” di reduci delle lotte rivoluzionarie dei primi 70 e non ti vengono riconosciuti!!!
Ne parliamo fra noi e decidiamo di continuare.
Le cose vanno meglio, ci si conosce e si decide persino di trovare una sede: il 7 dicembre occupiamo i locali di via Momigliano e nasce l’esperienza del collettivo giovanile Stadera.
La sera partecipiamo alla manifestazione dei circoli del proletariato giovanile contro l’apertura della stagione alla Scala. Noi siamo contrari con una minoranza a tentare di raggiungere la Scala, quindi con una parte del corteo non andiamo verso via Carducci, dove ci saranno degli scontri terribili, ma ci dirigiamo in via Ascanio Sfoza verso la Statale.
All’altezza di via Festa del Perdono veniamo “caricati” da 5 pantere della polizia. Mentre ci rifugiamo verso la Statale partono alcuni colpi di pistola, Fio, io, Sandro e Rufus ci sdraiamo sotto un’auto in sosta e non abbiamo il coraggio di alzarci. Dopo qualche minuto torna la calma e per fortuna riusciamo a tornare verso casa sani e salvi.
Il Collettivo funziona, e sull’onda ne nascono altri, il Chiesa Rossa vicino alla SAMZ e il Gratosoglio. Non si parla finalmente solo di politica ma anche di noi, dei nostri problemi generazionali, le donne cominciano a farsi sentire e se dapprima un po’ ci spiazzano, poi cominciamo a discutere e a capirci.
Torno coi piedi sulla terra e vedo che nascono i primi innamoramenti, che il Collettivo si frequenta anche per farsi la fidanzata o il fidanzato, cosa che prima in LC mi sembrava impossibile. Che non ci sia solo la rivoluzione da fare a questo mondo?
A febbraio del 77 lasciamo via Momigliano e occupiamo una negozio in viale Cermenate, più grande e più visibile, ormai siamo centinaia. E’ più il tempo che passo al Collettivo che a casa. La sera rientro per cena alle 19.45 per vedere la fine di Goldrake e sentire la sigla, dopo poco più di un’ora sono di nuovo al Collettivo.
Ogni tanto mi prendo una pausa e mi chiudo in casa, ascolto musica, Grateful Dead, Jefferson Airplane, CSN&Y, Allman Brothers Band, Pink Floyd, o gli italiani, Guccini, De Gregori, Area, Manfredi, Gianco, Finardi, Gaber, Rocchi, PFM, in attesa di li a poco del Punk, della new wave e di Bruce, Patti Smith, Clash, U2 ecc., oppure leggo.
Cent’anni di solitudine, Nessuno scrive al colonnello, l’autunno del patriarca, i libri di Manuel Scorza, tanta letteratura latinoamericana, On the road, Hesse, Boll, Mann, Vittorini, Pavese, Silone, Calvino……
Devo prendere una decisione: mollo l’università e parto per militare o proseguo? Siamo all’inizio del 77 e scelgo di partire. Il movimento 77 lo vivo a metà perchè a molte iniziative “politiche” non partecipo perchè sono a militare.
Parto a luglio e i primi tre mesi li passo a Macomer, posto difficile con fama di caserma “dura”, ma li vivo un’ esperienza straordinaria. Conosco nuovi amici/compagni, sardi, piemontesi, toscani, napoletani e milanesi coi quali cominciamo a svegliare dal torpore tutta la caserma.
Memorabile una due giorni di sciopero del rancio dove in mille rovesciamo per terra i vassoi pieni di cibo schifezza, tra la rabbia e l’incredulita di ufficiali e sottouffuciali che sono costretti a cedere e migliorano la qualità del cibo, sotto il nostro controllo.
Bellissime le riunioni semi clandestine nel retro di un bar dove si trovano alcuni vecchi del paese che ci adottano, con loro finisce sempre a vernaccia e scala dei pecorini, o in un box dove c’era la redazione locale di “Su populo Sardu”.
Con gli amici e le amiche del collettivi, continua la corrispondenza via lettere, loro con i racconti milanesi e delle vacanze a Pachino, io con le nuove esperienze in caserma, ricordo Pigio che apriva le sue lettere con “Come va comandante Rep?”.
Un fine settimana facciamo un giro di due giorni per la Sardegna, con una macchina avuta in prestito dai ragazzi del paese.
Prima tappa a Cagliari a casa di Melis.
La sua famiglia madre padre tre fratelli e due sorelle ospitano noi cinque in una casa popolare di tre piccoli locali, preparano per noi malloreddus, pesce e formaggi sardi. Mentre mangiamo il padre racconta che tre mesi prima, alcuni fascisti avevano picchiato suo figlio che volantinava e gli avevano spaccato gli occhiali, “a me sono costati mezzo stipendio di un mese” ci disse.
Allora lui si presenta il giorno dopo davanti alla scuola con un pezzo di legno avvolto in un giornale e quando arrivano i fascisti li fa scappare da solo a randellate!!!!
Sulla cronaca di Cagliari esce l’articolo “Il sig. Melis aggredito dai fascisti li fa scappare armato solo di un giornale”.
Ridiamo e lo abbracciamo.
La sera i due genitori vanno a dormire con il fratellino più piccolo nel casottino al mare per lasciarci la loro camera da letto! Ancora oggi quando ci penso mi commuovo.
La mattina presto ripartiamo per Macomer, costa sud, orientale sarda poi in Barbagia a Orgosolo. A Fonni rimaniamo senza benzina. E’ domenica e non sappiamo cosa fare.Chediamo aiuto e il paese si mobilita andando a cercare il benzinaio che stava facendo il pic nic con la familgia. Lo portano alla pompa, la riapre, facciamo il pieno e riusciamo a ripartire per essere in caserma dieci minuti prima delle 21.
E’ agosto e fa caldo il comandante, un maggiore degradato per fatti legati alla “Rosa dei venti” e li confinato, fa un “atto di generosità”: in tre scaglioni la stragrande maggioranza avrà una settimana di licenza. I criteri sono: ad estrazione i primi 900, ognuno ha un numero da uno a mille, e i finalisti delle gare di atletica che si terranno il giorno dopo. “Casualmente” fra i 900 estratti non c’è nessuno del nostro gruppo che ha organizzato lo sciopero del rancio o ha portato avanti altre richieste. Io raggiungo la finale dei 100 metri e arrivo terzo, quindi mi spetta la licenza, ma la rifiuto e chiedo che venga data ad un ragazzo toscano che aveva bisogno di tornare a casa per dare una mano in campagna. Devono accettare e con quel gesto divento una sorta di leader del gruppo.
A fine settembre torno a Milano e mi assegnano a Linate come autista, quindi riesco a rifrequentare, anche se parzialmente il collettivo. Ricordo i funerali di Fausto e Iaio. Io sono a Nerviano in Aeritalia.
Invento una scusa per il capitano che accompagno, devo rientrare all’aeroporto per fare dei controlli all’auto. Arrivo a casa di mia nonna, nascondo l’auto nel box, mi cambio e corro al corteo, ma non riesco a incontrare gli altri del Collettivo prima di tornare a riprendere l’auto, rimettermi la divisa e tornare a Nerviano. Sono sconvolto incazzato ma non so come scaricare la rabbia.
A luglio 78 finisco il militare e ad agosto con un gruppo del collettivo partiamo per la Scozia. Una vacanza indimenticabile, Parigi, Londra, Inverness, dove rimaniamo in quattro, Rufus Sandro Carlo ed io e giriamo tutta la Scozia, sul 2cv fino al ritorno a Milano, a costo zero, perchè chiediamo in “prestito” la benzina, di notte, dalle macchine di grossa cilindrata che cerchiamo nei parcheggi……
Anche degli anni successivi ricordo le vacanze: la Sardegna di S. Teresa di Gallura, la Corsica, Zacinto con il gruppo dei francesi, dei romani e degli inglesi con cui si intrecciano storie d’amore, ancora la Sardegna, poi Rodi, con uno dei tanti innamoramenti incompiuti, stavolta di una finlandese. Per tre sere in un locale ad ascoltare buona musica, ci filiamo, ma nessuno fa il primo passo e la sera che decidiamo di forzare la situazione, lei dice che parte la mattina alle 6 con un volo per Helsinki. Allora decido di andare in aeroporto per salutarla ma mi addormento in macchina e quando arrivo alle partenze l’aereo è già in volo! Passo una settimana come un bamba, poi mi riprendo. Per il ritorno decidiamo di prenderla un po lunga ed attraversiamo tutta la ex Yugoslavia. Al confine ci dividiamo e io e Fio finiamo la vacanza con qualche giorno sulle Dolomiti, dormendo in un fienile a Campitello e mangiando a casa di due vecchietti che ci adottano come fossimo loro nipoti.
Intanto la situazione in Italia si fa sempre più difficile: il terrorismo miete vittime quotidianamente, scopri che amici che non vedevi da qualche tempo sono finiti in qualche formazione clandestina, qualcuno muore, altri passeranno qualche anno in galera. Quando ti accorgi o vedi queste situazioni ti domandi: potevo essere anch’io fra loro? Forse ci siamo salvati perchè abbiamo avuto il coraggio, forse la paura o forse l’incoscenza che ci ha portato a rompere un meccanismo che prevedeva di “andare fino in fondo”, anche se il mondo intorno non ne aveva per niente voglia o preferiva fare altro.
Anche il Collettivo comincia ad essere superato dagli eventi.
Al Centro Puecher sta per cominciare una nuova esperienza più “istituzionale” che ci obbliga a confrontarci direttamente con una realtà che ci sembrava marginale invece è la vita reale: Fio e Mario accettano per primi la sfida e pur se precari lavorano a costruire la nuova esperienza del Piazzale che per numeri e attività andrà persino oltre quelle fatte fino ad allora nel Collettivo.
Purtroppo nel nostro Paese sta per succedere un episodio che rimarrà indelebile per tutta la vita.
La mattina del 2 agosto del 1980 i fascisti fanno scoppiare una bomba nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, è la strage peggiore fatta nel nostro Paese.
Noi siamo a La Spezia quando arriva la notizia perchè stiamo andando a Livorno per imbarcrci per la Sardegna. Ci fermiamo e corriamo disperatamente a cercare notizie. Ci dicono che ci sarà una manifestazione in serata, siamo talmente incazzati che vorremmo trovare una sede del MSI per fargliela pagare. Forse, per fortuna, non la troviamo.
Succede anche un episodio tragicomico; lasciamo le auto cariche di bagagli in sosta vietata ed al ritorno non le troviamo.
Alcuni passanti ci dicono che i vigili con il carro attrezzi le hanno portate al deposito. Andiamo al comando e spieghiamo che abbiamo lasciato li le auto per andare alla manifestazione contro la strage. Uno dei vigili ci dice che abbiamo fatto bene, un altro parlando della strage si commuove, tanto che alla fine ci ridanno le auto senza neppure farci pagare la multa. Grandi!
La sera chiamo a casa, mia madre mi dice se abbiamo saputo, di stare calmi e di non “andare nei pericoli”, poi mi passa mio padre. Ricordo ancora il silenzio al di la della cornetta, rotto dallo scoppio di un pianto, non so cosa dirgli mi escono poche parole “la pagheranno quei porci”, spaccherei tutto e non riesco a calmarmi. Esco dalla cabina e abbraccio Fio e Tap, probabilmente piangiamo. Ci vuole qualche giorno per tornare tranquilli, ci facciamo forza a vicenda e proviamo a vivere le vacanze grazie anche all’aria della Sardegna.
Stiamo cambiando o siamo cambiati ma alcune cose non ci lasceranno mai.
Il Piazzale ormai ha sostituito il Collettivo, tante e nuove persone si sono aggiunte, nascono nuovi amori, come al solito io ne ho uno a cui tenevo particolarmente ma che rimane sospeso e non ho mai capito perchè, si formano e si disfanno coppie, siamo più concreti nella scelta degli obiettivi da perseguire, forse stiamo maturando.
Di quegli anni mi ricordo alcui momenti indimenticabili: il concerto in auditorium con le Nacchere Rosse di Pomigliano d’Arco, il film di Maurizio Zaccaro per il Male, il concerto di Guccini al Palalido dove presenta Bertoli che canta “eppure soffia”, lo scudetto del Milan del ’79, Bob Marley a San Siro, il Milan in serie B e la mitica partira Milan-Cavese 1-2, l’esperienza di trasformare la Clinica in una Birreria, il Pianino poi Brutto Anatroccolo, il concerto per Demetrio, quello dei Police, dei Clash in piazza Maggiore a Bologna, di Patti Smith sempre a Bologna, il torneo provinciale di calcio di Radio Popolare vinto in finale all’Arena dalla nostra squadra, proprio il giorno della finale dei Mondiali di Spagna, che abbiamo visto insieme al Pianino e poi tutti a festeggiare fino all’alba in giro per Milano.
A febbraio ’83 il primo convegno fondativo “i Verdi in Italia” sempre in Piazzale, da quale per alcuni di noi è nata la nuova esperienza politica.
Poi ci sono tantissimi altri episodi, piccoli, grandi, personali che non possono essere “rinchiusi” in nessun racconto perchè sono parte della nostra vita e non saranno mai cancellati.
Con un filino di nostalgia e tanto affetto
Rep